Qualcuno più saggio di me disse una volta che non si può crescere e cambiare se non si ha il coraggio di uccidere il proprio passato.

“Il passato è una bestia feroce” è uno di quei libri che vorresti contemporaneamente leggere tutto d’un fiato per vedere come va a finire, ma anche centellinare, in modo da rimanere coi personaggi il più a lungo possibile.
In genere non amo i romanzi scritti in prima persona, ma grazie allo stile pulito di Massimo Polidoro, la narrazione rimane comunque di grande qualità. Lo stile scorrevole dell’autore è perfetto per il genere thriller e la trama del libro è avvincente.
Il romanzo parte con un ritmo “tranquillo”, ma non bisogna farsi ingannare dalle prime pagine: l’azione infatti diventa serrata e si rimane spesso col fiato sospeso.

Il protagonista della storia, Bruno Jordan, torna nei luoghi della sua infanzia per investigare sulla scomparsa di un’amica e compagna di scuola, avvenuta più di trent’anni prima.
L’indagine porta Bruno a fare un tuffo nel passato e i lettori vengono trascinati con lui tra i ricordi dei primi anni ’80.
Uno degli aspetti che più colpisce di questo libro, a parte i classici e bene eseguiti elementi del thriller, è appunto l’effetto “amarcord”: tutta una serie di ricordi d’ infanzia vengono rievocati da dettagli come il Ciao parcheggiato fuori da scuola, le audio cassette, i mondiali di calcio del 1982.
Per certi versi, questo aspetto del libro ricorda molto “IT” e “Stand by me” di Stephen King, con la differenza che i luoghi del romanzo sono vicini e i ricordi sono ancora più vivi ed emozionanti.
Assolutamente consigliato agli amanti del genere e non.